In Italia, nel referendum del 2 giugno del 1946, la repubblica ottenne ( dati definitivi ufficiali della Corte di Cassazione) 12.717.923 voti contro i 10.719.923 attribuiti alla monarchia: una maggioranza, cioè, di circa due milioni di voti, più del 54% dei votanti. In prevalenza si dimostrarono monarchiche le circoscrizioni meridionali e le isole ( la Napoli – Caserta raggiunse la percentuale più alta, del 78%; repubblicane le altre ( ma nel Piemonte la maggioranza repubblicana toccò soltanto il 57,1%, mentre nell’Emilia arrivò al 77% e nel Trentino all’85% ).
Le elezioni politiche per la Costituente, svoltesi il medesimo giorno del referendum, confermarono sostanzialmente la situazione emersa dalle elezioni amministrative della primavera del 1946 : i tre grandi partiti di massa elessero, complessivamente, 426 deputati su 556 ( 207 democristiani, 115 socialisti, 104 comunisti ), lasciando a tutti gli altri partiti 130 posti. E poiché socialisti e comunisti assommati con i repubblicani e gli azionisti di varie tendenze facevano un totale di 256 deputati, corrispondenti al 45,5% dei voti, si arguì che i democristiani avessero concorso a determinare, nel referendum, la maggioranza repubblicana, solo con un quarto circa dei loro votanti, assumendo tuttavia nell’Assemblea repubblicana il potere maggiore.
2 giugno 1947 / 2 giugno 2022, le speranze di ieri, le stesse di oggi.
” Come avrebbe potuto l’Assemblea costituente, così profondamente divisa anche sulla questione istituzionale, organizzare l’assetto della repubblica se non mediante continui reciproci compromessi dei deputati e dei partiti che la componevano?
Così, infatti, avvenne. La nuova Costituzione non fu elaborata da un partito o da un gruppo, ma si venne via via delineando come la risultante di continue transazioni e contemperamenti tra le varie formule proposte, per cui gli opposti criteri e interessi subirono, nel corso degli appassionati dibattiti, successive restrizioni, limitazioni, interpretazioni particolari, adeguandosi di volta in volta alle norme della pratica parlamentare, cioè, in sostanza, del metodo democratico, fondato sul rispetto di ognuno non solo della libertà per sé e per il proprio partito, ma per tutti, compresi i nemici.
Questa fu la grande conquista della nuova assemblea che coronò la proclamazione della repubblica : la consapevolezza di rispecchiare la libera volontà degli Italiani, posta definitivamente al riparo da colpi di mano o da avventure, e garantita contro il risorgere di ogni forma di onnipotenza dello Stato e di prepotenza privata ( come disse Luigi Einaudi, il giorno del suo giuramento quale Presidente della Repubblica ).
In questo riconoscimento della validità del metodo democratico anche le più gravi divergenze di fondo, concernenti il problema sociale, trovarono una forma di incontro nella comune accettazione del principio che lo Stato democratico da edificare dovesse essere lo Stato di tutti i cittadini, egualmente sovrani e pari nei diritti e nei doveri, e che occorresse rendere effettiva questa esigenza, eliminando prima le conseguenze delle più stridenti disuguaglianze economiche, che si traducono in un ingiusto privilegio intimamente contrastante con l’asserita uguaglianza giuridica.
Nel primo capoverso dell’articolo primo della Costituzione è affermato solennemente che l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro ( manuale e intellettuale) e nell’art. 3 è detto che essa ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, dell’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Certo, queste e altre affermazioni dei diritti sociali erano destinate a restare allo stato di buone intenzioni o di programmi o di promesse, il cui compimento non appare, ancor oggi, né sicuro né perfetto. Nonostante ogni garanzia costituzionale, rimane sempre il pericolo che la pratica del metodo democratico diventi un lustro a vantaggio di ceti e di individui economicamente privilegiati: e che il povero onesto rimanga povero onesto e il ricco acquisti altre ricchezze non per virtù propria ma della nascita. Nessun congegno giuridico, per studiato e ingegnoso che sia, ha di per sé la virtù di garantire la democrazia ove non soccorra di continuo la cooperazione attiva e severamente consapevole del popolo e dei suoi rappresentanti. La democrazia vive di questo continuo sforzo, difficile e aspro.
La fondazione della Repubblica rimane così, nella storia d’Italia, l’inizio ( o la speranza ) di un secondo risorgimento destinato a completare, in forza di una tragica esperienza sofferta da tutti gli Italiani, le insufficienze sociali del primo. Ad attuare questa speranza sono chiamati a cooperare i singoli cittadini e i partiti politici in cui i cittadini sono schierati, mediante una continua, impegnata critica costruttiva, volta a chiarire e ad approfondire le idee contrarie e divergenti secondo le regole del metodo democratico, che contiene in sé la possibilità di ogni più ampio sviluppo.
Con questi auspici, e nel rivolgere in questo giorno i più vivi auguri in particolare al nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il Partito Liberale Italiano di Bari “Giovanni Malagodi” e l’Associazione “Società Aperta – I Liberali” sono lieti di partecipare con il popolo italiano alla commemorazione del 75° anno della nascita della Repubblica Italiana, celebrata come “Festa della Repubblica Italiana” per la prima volta il 2 giugno del 1947.
Bari, 2 giugno 2022. Il Partito Liberale Italiano di Bari “Giovanni Malagodi” e l’Associazione ” Società Aperta – I Liberali”.