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I liberali per il rilancio dell’avvocatura in Italia.

La “fuga” in crescita dall’avvocatura, l’innalzamento del livello di conflittualità processuale provocato, in più casi, dal coinvolgimento emotivo dell’avvocato nel perorare le ragioni del proprio assistito, l’abbandono di “campo” della tutela giurisdizionale dei diritti per sfiducia da parte di molti cittadini a causa del nostro sistema giudiziario che ancora non garantisce pienamente la tutela dei diritti dei cittadini – oltre il 50% degli italiani ha addirittura dichiarato di aver rinunciato alla tutela di un proprio diritto per la scarsa fiducia che ripone nel sistema giudiziario e per quasi il 60% la situazione negli ultimi anni è anche peggiorata rispetto al passato – sono fenomeni che non rappresentano solo un segnale di sconfitta e arretramento della nostra civiltà giuridica, ma per gli avvocati rischiano di trasformarsi in una inquietante ipoteca sul proprio futuro professionale.

Per il PLI, tali fenomeni, già da tempo oggetto di una attenta riflessione, allo scopo di contrastarli e di rilanciare l’esercizio dell’avvocatura, professione tradizionalmente assai cara ai liberali, meritano di essere seriamente presi in considerazione in occasione, giusto come annunciato dal Guardasigilli appena insediatosi, Carlo Nordio, della imminente ripresa della discussione per la Riforma della Giustizia.

E ciò il PLI intende promuovere anche in ragione di alimentare, incoraggiare e stimolare nei nostri giovani certa vocazione professionale, autonoma, forte e convinta in specie alla libera professione di avvocato.

La scelta di intraprendere la professione forense è, per la larga maggioranza dei professionisti, una scelta guidata da componenti squisitamente emotive volte a corrispondere esigenze di carattere personale e prevalentemente immateriale. Si è avvocati, dunque, per passione, per voglia di autonomia, per realizzare vocazioni antiche, assai più di rado si è avvocati per casualità o la necessità di portare avanti l’attività di famiglia e, ancor meno per prestigio o per denaro, o per necessità.

Eppoi una libera professione, in specie quella dell’avvocato, da vivere dinamicamente e in autonomia, non sempre è facile da sostenere; e la solitudine di fronte alle loro responsabilità è ritenuta uno dei principali elementi negativi della professione forense dalla maggioranza degli avvocati, che se da un lato apprezzano l’autonomia dall’altro sono, però, consapevoli che questa possa rappresentare anche un limite.

Ma che percezione, nel frattempo, ha l’opinione pubblica degli avvocati?

In Italia, allo stato, risultano essere iscritti alla Cassa Forense qualcosa meno di 245.000 avvocati. L’andamento generale della professione si conferma in drastico calo anche nell’anno in corso, complici la pandemia, la crisi economica e le prospettive future che, per molti, paiono incerte. Pare che ¾ degli italiani che si sono rivolti presso uno studio legale si ritengono delusi o addirittura traditi dai propri difensori, e che in più casi, in corso di causa, si siano visti costretti a revocare più volte il mandato conferito – ovvero a sostituire mediamente fino a tre volte l’avvocato –  a causa del venir meno del rapporto di fiducia. Tale fenomeno, sostenuto da un incremento di esposti e di reclami indirizzati presso i Consigli dell’Ordine, riguarderebbe, in particolare, l’ambito del diritto di famiglia.

In ogni caso il giudizio di questi ¾ di italiani si rivela severo ed ancor più ingeneroso nei confronti dell’avvocatura, allorquando viene messa in discussione la qualità della competenza e delle prestazioni offerte e ricevute, facendo in conclusione di tutta un’erba un fascio la categoria. Indubbiamente, come risulta accadere in tutte le professioni, possono emergere – come in certi casi emergono – degli aspetti molto discutibili circa l’effettiva preparazione e formazione dell’avvocato, ma da qui a sostenere di questi ¾ di italiani che la stragrande maggioranza degli avvocati sia costituita da legulei ovvero da meri tecnici di bassa lega, giusto come già Cicerone ebbe a spartire dai veri giuristi iurisperiti o iuris consulti, ce ne vuole!!

Cicerone, infatti, è autore, tra l’altro, di un salace attacco ai legulei, termine – di manzoniana memoria – poi entrato in auge per indicare con disprezzo i bassi “intrallazzoni di diritto”, dalla coscienza facile e dalla grande miseria morale: Antonio, nel De oratore, ammonisce Crasso a non disgiungere la scienza giuridica dall’arte oratoria, poichè, in caso contrario, il giurista, spoglio degli ornamenti propri in specie di obiettiva eloquenza, non sarebbe altro che un “leguleio, scaltro e sornione, un banditore di azioni legali, un cantore di formule, un cacciatore di sillabe”.

Francesco Carnelutti, grande avvocato, giurista e filosofo del diritto, intorno alla fine degli anni cinquanta, tenne proprio a Bari, presso il Comune, una brillantissima conferenza che interessava gli aspetti e le cause di certa cattiva stampa di cui, da tempo immemorabile, godeva la professione forense.

Di tale conferenza, piace riportarne un sunto in risposta a quei ¾ di italiani maliziosi nei confronti dell’avvocatura, ma soprattutto da dedicare come monito, come un importante insegnamento a chi si accinge, in particolare tra i giovani dotati di certa inclinatura, ad accostarsi al diritto con l’obiettivo di intraprendere la nobile professione forense.

L’illustre oratore esordì, serio ed a tratti semiserio nel suo discorso pubblico, ricordando alcuni gustosi e significativi aneddoti.

Francesco Carnelutti (Udine,15 maggio 1879 – Milano, 8 marzo 1965)

Papa Lambertini – ecco il primo degli aneddoti – si vide sottoporre una disputa sorta fra medici e avvocati, per via delle precedenze in una processione. Il Papa risolse la questione in favore degli avvocati, dicendo : “ Vadano avanti i ladri, seguano i carnefici “! Perfino l’inno liturgico di Sant’Ivo, Patrono degli avvocati, definisce ad un certo punto cosa meravigliosa trovare un avvocato che non sia imbroglione.

Quali le cause di questa cattiva stampa, della quale gli avvocati e le persone colte sorridono, ma che cionondimeno esiste? La gente – proseguiva Carnelutti – ha l’impressione che gli avvocati non siano mai capaci di combinare niente di buono. Il medico guarisce o non guarisce, ma quando guarisce si ha la sensazione che qualche cosa abbia fatto. L’ingegnere fa una casa, bella o brutta; ma la casa è là e tutti possono toccarla. Quelle degli avvocati, invece, non sono che parole.  Mercanti di parole, li chiama la gente. E questa sensazione si aggrava quando li si vede, nel corso del dibattito, lottare accanitamente l’uno contro l’altro, per sostenere tesi diametralmente opposte. Questo specialmente per i civilisti. Ai penalisti si dice più spesso : “Voi siete gli amici delle canaglie”. Egli, Carnelutti, fra le altre lettere anonime giuntegli durante un recente celebre processo, ne ricevette una che diceva pressappoco : “ Si vergogni! Lei difende una canaglia! “.

Come fa l’avvocato, si domanda la gente, a difendere un imputato quando sa che quello è colpevole?

Carnelutti sosteneva che non bisogna abituare i giovani all’adorazione del diritto, che è necessario, ma non deve essere idolatrato. Egli stesso ammise di aver dovuto penare anni ed anni per liberarsi da tale infatuazione. Il diritto è una necessità: la parola stessa ( da nec ed esse) significa insufficienza. Il diritto è necessario, è indispensabile, ma non è tutto. Prima di conoscere il diritto bisogna conoscere il Vangelo. Altrimenti non si potrà comprendere il diritto, non si potrà farne uso corretto. Il diritto culmina nel giudizio. Il Discorso della Montagna: “ Nolite judicare “ cioè non fidatevi del giudizio. “ Nolite judicare”, non giudicate, cioè giudicate come vorreste essere giudicati. E che cos’è il giudizio, se non, in ultima analisi, la scelta fra il si ed il no ? Il compito degli avvocati – e l’avvocato Carnelutti sì rispondendo fece giustizia della cattiva stampa, sulla quale si era soffermato – è di mettere il giudice in condizione di scegliere: porgendogli tutto il si da una parte, e tutto il no dall’altra, tutto il pro e tutto il contro. Fra gli avvocati ed il giudice c’è questa fondamentale differenza: il giudice è un ragionatore libero; l’avvocato è un ragionatore vincolato. Ma proprio questa costrizione spinge spesso l’avvocato a trovare ragioni che il giudice da solo non troverebbe.

Ed ecco quindi che gli avvocati non sono mercanti di parole. E d’altronde, la parola è santa. Non si parla se non si pensa, non si pensa, se non si parla. Il logos ha bisogno di incarnarsi nella parola.

Il medico individua o non individua il male. Quando lo ha individuato ha finito. L’avvocato quando ha individuato la sua causa ha compiuto solo metà, e spesso la meno penosa, del cammino. Egli deve afferrare l’idea che balena, capirla, farla capire. Il problema gravissimo del rapporto avvocato-giudice è appunto problema di comprensione, di capacità di vivere l’uno la vita dell’altro. Questo sforzo reciproco di comprensione è la parte essenziale del rapporto.

I giovani si abituino al rispetto della parola. Oggi c’è il vezzo di disprezzarla, di trascurare l’eloquenza. Nulla di più assurdo. Potrà mutare lo stile. Potrà esservi un tipo di eloquenza superato dai tempi. Ma l’eloquenza – che non è quantità di parole, bensì capacità di far sentire con una parola sola la potenza dello spirito che si impone alla natura – non potrà mai venir meno. La parola è insostituibile, la parola muove il mondo. Il centurione del Vangelo :dì solo una parola..E il giudice che manda a morte, che pronunzia la parola di condanna, egli è il carnefice, non il boia.

La carica della parola non è data dal cervello. E’ data in parte dal cervello, ma soprattutto dal cuore. Il successo dell’eloquenza non è successo di pensiero, è successo del cuore.  

Perciò, altro che mercanti di paroleamici delle canaglie. Sì, amici delle canaglie. L’avvocato è l’unico amico del delinquente, nel momento in cui questo è solo, solo e fuggito da tutti, è una bestia braccata. Visitare i carcerati : l’unica opera di misericordia che sia tutta spirituale. Quando l’avvocato si siede accanto al delinquente sull’ultimo gradino della scala, quando l’avvocato si sente gridare in faccia :Tu sei una canaglia perché lo difendi! “, allora l’avvocato è veramente in pieno accordo con Gesù.

Quel che sarà fatto al più piccolo dei miei fratelli sarà fatto a me. Circolazione dell’amore che è come la circolazione del sangue. Il sangue viene dal cuore ed al cuore ritorna., ma prima passa attraverso tutti i vasi capillari, anche i più piccoli, gli infimi. L’amore viene da Dio ed a Dio ritorna, ma prima passa attraverso tutti gli uomini, anche i più abbietti.

San Francesco nella primavera umbra. La campana del lebbroso. Gli lascia cadere l’obolo. Ma una voce, la voce di Dio che batte alla porta dell’anima nostra, che può entrare di forza, ma non vuole entrare di forza, gli dice : “ Non ha bisogno del tuo avere, ha bisogno del tuo essere; non ha bisogno del tuo obolo, ha bisogno del tuo bacio! E San Francesco bacia il lebbroso, al quale non doveva offrire solo quello che aveva, ma quello di cui il lebbroso aveva bisogno. Il lebbroso aveva bisogno di credere che gli altri non provavano schifo a vederlo. E l’avvocato si accosta ai lebbrosi dello spirito. Per questo – continuava l’oratore – San Francesco dovrebbe essere il Patrono degli avvocati. Se tutti gli avvocati avessero la dose di amore che dovrebbero, i penitenziari sarebbero vivai di santi. All’avvocato penalista ( che, al contrario di quanto si crede, va posto dal punto di vista morale su un piano più alto del civilista: questo difende l’avere, quello l’essere; questo difende la proprietà, quello la libertà ) si richiede più forza d’amore che a qualunque altro professionista. E qualche volta si ottengono miracoli.

Le ore più belle, raccontò l’avvocato Carnelutti, le aveva passate nei reclusorii; non c’è delinquente incallito – incalzava –  che non abbia nell’animo un lucignolo fumigante. Quando con un soffio discreto si riesce a ravvivare la fiamma si godono le gioie più belle.

Un processo in Calabria. Il mandante, un ometto da nulla. L’esecutore, un uomo duro e forte. Fratelli. Il mandante poteva essere salvato e fu salvato. L’esecutore all’avvocato : “ Non pensi a me, pensi a mio fratello; ha nove figli.”. E fu condannato all’ergastolo. L’avvocato durante l’arringa all’esecutore del delitto: ”Ed ora veniamo a te. Mi hai detto che non t’importa di nulla. Ma io voglio difenderti perché ti amo”. Oh! la luce che brillò su quel volto!

Una lettera, successiva, del delinquente all’avvocato:Non riesco proprio a capire perché mi voglia bene”. L’avvocato : “ Neanche io riesco a capire perché le voglio bene, ma ancor meno capisco perché mi voglia bene il Signore”.

Così terminò la conferenza barese di Carnelutti, della quale immagine inadeguata può dare un modesto resoconto come questo. Un applauso lungo, commosso, rapito, corale, salutò l’oratore al termine del suo dire. Una lezione professionale, di vita e di stile attuale, per una avvocatura moderna, rappresentativa e all’altezza della quale la giustizia del nostro Paese ha bisogno.

Bari, 26 ottobre 2022. Dott. Giancarlo Ragone, giurista, Presidente Associazione “Papà Separati dai Figli “, componente la direzione nazionale del PLI.

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